CELEBRIAMO
LA PAROLA DI DIO
V^ DOMENICA DI QUARESIMA Anno “C”
(21 marzo 2010)
1^ Lettura. ...: Gs 5,9°.10-12
Salmo resp. ..: dal
Sal 33
2^ Lettura.
…: 2Cor 5,17-21
Vangelo. ..….: Lc 15,1-3.11-32
.Grandi cose
ha fatto il Signore per noi.
Con questa quinta
domenica la Quaresima volge al termine e ci si avvia verso la grande e santa
settimana della passione, della morte e risurrezione di Gesù. Molto spesso, in
questo tempo, siamo stati sollecitati alla conversione del nostro cuore, eppure
ognuno di noi si scopre ancora tanto simile a se stesso. Forse ci siamo
dedicati poco all’ascolto della parola di Dio, ed essa non si è radicata nel
cuore e nella realtà della nostra vita; insomma, non ci ha trasformati più di
tanto. Questo non lo dico per la smania di fare bilanci o per trasmettere un
inutile pessimismo. Piuttosto, credo che tutti siamo consapevoli della difficoltà
che ha il tempo del Signore a inserirsi nel procedere spasmodico del nostro
tempo quotidiano; e degli ostacoli che i sentimenti e gli inviti di Dio trovano
nella massa dei nostri sentimenti e dei tanti inviti mondani che ogni giorno
riceviamo. Questo tempo opportuno di Quaresima spesso è soffocato con gli
impegni, dalle preoccupazioni, e perché no, dalle insulsaggini che ci prendono
e ci soggiogano. E così, ognuno è rimasto quello che era. Questa domenica ci
viene nuovamente incontro, e in certo senso ci prende e ci trascina davanti a Gesù
ancora una volta. E di fronte a lui non è possibile sentirsi come quel fariseo
che si lodava da solo, perché Lui è il Signore della misericordia e non un
esattore esigente.
In passato, Dio ha
compiute cose straordinarie per il suo popolo: basti ricordare l’esodo. Eppure,
ancora oggi, Dio può fare cose molto grandi che vanno oltre quelle già
conosciute. Lo dimostra il brano di Isaia riportato nella prima lettura. Il
profeta ci porta la testimonianza dell’annuncio impensabile del deutero-Isaia
agli esuli di Babilonia: Dio sta per compiere con il suo popolo un nuovo esodo.
Questo popolo sperimenterà la misericordia di Dio e la narrerà alla generazioni
futura: “il popolo … celebrerà le mie
lodi”. La preghiera di colletta generale non tocca il problema del perdono
misericordioso di Dio, ma ritiene opportuno concentrarsi sul dopo perdono: al
credente è necessario imitare il Signore soprattutto in quell’amore sconfinato
che ha dimostrato per gli uomini. La colletta particolare, invece, si fonda
sulla teologia Giovannea: il Figlio non è venuto per condannare, ma per salvare
il mondo. (Gv 3,16-17). A questo immenso dono di salvezza che comprende
anche il perdono dei peccati, i credenti sono chiamati a rispondere non con una
gratitudine formale ma con una gioia veramente vissuta.
La seconda lettura costituita
dalla lettera di Paolo ai Filippesi (Fil
3.8-14), mette in evidenza la perentorietà dell’apostolo
su alcuni argomenti. Di fronte a Cristo non c’è nulla che valga. Tutto è
perdita e spazzatura. Vivendo insieme con Cristo e nella sua imitazione i
credenti possono fare esperienza della comunione alle sue sofferenze e della
potenza della sua risurrezione. Ciò che vale è la vera conoscenza di Cristo, il
dono della sua giustizia in noi e della “certezza nell’attesa”, speranza della
risurrezione.
Domenica scorsa, abbiamo contemplato l'abbraccio del
Padre, che stringe a sé e riabilita, col suo amore, il figlio che era andato
lontano da casa, e aveva sciupato, non solo il capitale avuto in dono, ma anche
anni della sua esistenza; oggi, il racconto di Giovanni ci fa incontrare
un'altra persona, che ha bisogno, non solo di perdono, ma anche di veder ricostruita
la sua esistenza.
Gesù è a Gerusalemme, è la sua ultima settimana di
vita, qui, nella città santa, si compirà la sua missione di Redentore col
sacrificio della vita.
“Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al
mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli
sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli
condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro,
questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè nella Legge ci
ha comandati di lapidare donne come queste. Tu che ne dici?» (Gli scribi e i farisei si riferivano alle
disposizioni contenute nel Levitico, 20,10; e nel Deuteronomio, 22,22-24;
che prevedono la morte per gli adulteri). Nel porre tale domanda costoro non
sono mossi dallo zelo per la legge, tanto meno sono interessati al dramma di
quella donna. Vogliono tendere un tranello al giovane profeta di Nazaret per
screditarlo davanti alla gente, che sempre più numerosa corre ad ascoltarlo.
Se condanna la donna, -ragionano-
andrebbe contro la tanto conclamata misericordia; se la perdona, si metterebbe
contro la legge. In ambedue i casi ne uscirebbe sconfitto. Gesù, chinatosi, si
mette a «scrivere con il dito per terra». È un atteggiamento strano: Gesù resta
in silenzio, come farà durante la passione davanti a personaggi come Pilato ed
Erode. Il Signore della parola, l'uomo che aveva fatto della predicazione la
sua vita e il suo servizio fino alla morte, ora tace. Si china e si mette a
scrivere nella polvere.
Non sappiamo cosa Gesù scrivesse e cosa pensasse in
quel momento; possiamo però immaginare i sentimenti di dispetto dei farisei e
forse possiamo intuire cosa potesse esserci nel cuore di quella donna, la cui
speranza di sopravvivenza è legata a un uomo che, peraltro, né profferiva parola,
né faceva un cenno. Dietro l'insistenza dei farisei Gesù alza il capo e
pronuncia una frase che illumina i loro pensieri: “Chi di voi è senza peccato,
getti per primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva per
terra”(v -7) La risposta è
stata disarmante per tutti. Colpiti nel segno da queste parole, “se ne andarono uno per uno, cominciando dai
più anziani “ (v. 9), Rimase solo Gesù con la donna. Si trovarono l'una
davanti all'altro: la miseria e la misericordia.
A questo punto Gesù riprende a parlare; lo fa come di
solito, con il suo tono, la sua passione, la sua tenerezza, la sua fermezza.
Alza la testa e chiede alla donna: “Donna,
dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella risponde: “Nessuno, Signore”. La parola di Gesù
diviene profonda, per nulla indifferente, anzi ricca di misericordia. È una
parola buona, di quelle che solo il Signore sa pronunciare: “Neanche io ti condanno; va' e d'ora in poi
non peccare più” (v. 11). Gesù era l'unico che avrebbe potuto alzare la mano e
lanciare le pietre per lapidarla; l'unico giusto. La prese per mano e l'alzò da
terra; veramente la sollevò dalla sua condizione di miseria e la rimise in
piedi: non è venuto per condannare e tanto meno per consegnare alla morte per
lapidazione; è venuto per parlare e per rialzare alla vita. Dice a quella
donna: “Va' e d’ora in poi non peccare
più”, come dire: ritorna alla vita, riprendi il tuo cammino. percorri la
via sulla quale ti ho posto, la via della misericordia e del perdono. È la via
sulla quale il Signore, di domenica in domenica, mette coloro che si avvicinano
a lui.
(Ricerche e Commenti di Mario
Faraldo)